Molte volte, l’arte aiuta a superare momenti difficili come un lutto, ma forse non conosci questo monumento funebre.
Da sempre l’essere umano si trova ad affrontare l’inevitabile confronto con il dolore e la perdita. Il bisogno di onorare il lutto e di ricordare una persona che non c’è più è una componente fondamentale del processo di elaborazione del dolore e di guarigione emotiva.
Questo bisogno è radicato nella natura umana e tocca uomini di diverse culture ed epoche storiche. Ognuno col suo modo e con le proprie tradizioni, attribuisce n’enorme significato importanza della perdita. Questo senso di perdita e mancanza si può avvertire anche nei confronti di cose inanimate o idee. Nel corso della storia dell’arte, un’artista in particolare ha espresso la volontà di onorare un lutto tramite un’opera che celebrasse la perdita di un’intera città. Parliamo di Alberto Burri.
Onorare una perdita dando nuova forma alle macerie
Quando parliamo di Alberto Burri, parliamo di uno dei artisti più importanti ed influenti del ‘900, esponente dell’arte informale. La sua arte consisteva in una nuova comunicazione attraverso la materia con lavori che prevedevano l’utilizzo di materiali come legno, terra, ferro, stoffa eccetera.
Famose sono le sue serie di muffe, ossia opere che venivano realizzate con pietra pomice e pittura ad olio. L’altra serie famosa è quella dei gobbi che venivano creati con tele e rami. Forse la serie più famosa è quella dei sacchi in cui utilizzava dei teli di juta applicati direttamente sulla tela. Nel 1964 inizia la sua avventura con i cretti.
I cretti di Burri sono dei quadrati, a volte rettangoli, su cui vengono create delle crepe con l’uso di pannelli incollati sulla tela con colla vinilica e bianco di zinco. In alcuni casi Burri unisce anche della terra.
Il Grande Gretto con cui onora un lutto è quello che viene realizzato a partire dal 1984 a Gibellina. Si tratta non di un semplice quadrato ma di un’opera monumentale di 8000 mq che si estende sulla vecchia città di Gibellina che venne rasa al suolo nel 1968 da un grande terremoto.
L’artista realizza delle crepe facendole assomigliare alle vie principali della città. Usa delle colate di cemento per ricoprire le macerie della città stessa. L’arte viene usata come riscatto sociale e come memoria di una città che è andata perduta.
Lo stesso Burri, raccontando la sua esperienza, dice di essersi profondamente commosso davanti a quelle macerie e che il suo intento era usare del cemento bianco per compattare le macerie affinché diventassero un perenne ricordo.
Burri è morto nel 1995 e non ha potuto vedere l’opera finale che è stata completata nel 2015.