Cos’è l’Arte povera, come e quando nasce e che contributo ha fornito Marisa Merz? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Il ‘900 è stato un secolo prolifero per un movimento artistico in particolare in Italia. Parliamo dell’Arte Povera, un movimento nato intorno agli anni ’60 e che ancora oggi vanta esponenti del calibro di Michelangelo Pistoletto. La prima mostra dell’Arte povera si tenne a Genova nel 1967 ed il nome nel movimento viene direttamente da un’affermazione del critico d’arte Germano Celant, che in un suo articolo sulla rivista Flash Art intitolò: Arte povera: appunti per una guerriglia.
Alla mostra del 1967 parteciparono 12 artisti ognuno con una un’opera, tra questi c’erano Luciano Fabbro, Giulio Paolini, Pino Pascali, Mario Ceroli e altri. Lo stesso Celant parlando delle ragioni del movimento diceva che a quel punto animali, vegetali e minerali erano insorti nel mondo dell’arte e l’artista era attratto da quelle possibilità fisiche, chimiche e biologiche. Sii trattava quasi di un’artista – alchimista.
Come si può intuire dal nome, questo movimento si avvale dell’uso di materiali umili come stracci, legno, terra, plastica e tutto quello che si può recuperare. Lo scopo è quello di contrapporsi ad un’arte tradizionale elaborata e ricca e mostrare un’arte che abbia la capacità di impoverirsi e di ridursi al minimo.
Donna, artista e moglie: l’unica figura femminile dell’arte povera
Marisa Merz, all’anagrafe Maria Luisa Truccato fu l’unica esponente femminile del movimento dell’arte povera. Nata a Torino, li vive principalmente e lì si compie la sua attività artistica anche insieme al marito Mario Merz, esponente anche lui del movimento, un incontro quasi prima artistico poi d’amore.
Marisa porta all’interno del contesto dell’Arte povera dei materiali che prima non erano stati presi in considerazione, tutte quelle pratiche che hanno a che fare con l’artigiano e il lavoro di tessitura femminile. In questo modo conferisce a quelle attività considerate “femminili”, una dignità a livello artistico.
Lo sviluppo della sua arte si può dividere per fasi, fino agli anni ’60 lavora principalmente con tessiture di fili di rame e nylon. Passata agli anni ’70 si dedica alle installazioni e lavora soprattutto con parti di opere precedenti reinventate con materiali come legno e terra. Gli anni ’80 sono il periodo delle collettive internazionali dove porta soprattutto opere di cera ed è da qui, tra gli anni ’90 e il 2000, che arriva la consacrazione. Nel 2013 le sarà assegnato il Leone d’oro alla Biennale di Venezia.
Marisa ed Amalfi: una partecipazione “nascosta”
Una delle prime opere che ricordiamo di Marisa Merz è “Scarpette”, del 1968. Ci troviamo nel contesto della rassegna Arte Povera-Più azioni povere, che si tenne quell’anno ad Amalfi. Ufficialmente solo suo marito Mario partecipò ma lei non si fece sfuggire l’occasione per mostrare una sua opera.
Si trattava di scarpette che erano state tessute con del filo di nylon e abbandonate su una spiaggia di Amalfi. Va detto che la mostra di Amalfi era curata dallo stesso Celant e c’erano sia artisti dell’arte povera sia dell’arte concettuale. Le scarpette sulla spiaggia della Merz erano un simbolo, quasi un dissenso di una partecipazione indiretta.
La vita straordinaria di Marisa termina all’età di 93 anni lì dove è cominciata, a Torino. Una donna che ha saputo farsi largo in uno spazio di uomini con pratiche e materiali femminili senza paura ti creare un contrasto tra forza e fragilità.